Scopri chi è il procuratore che ha riaperto il caso Garlasco: una carriera tra mafia, scandali e giustizia incrollabile.
Nel mondo della magistratura italiana, ci sono figure che preferiscono il clamore delle conferenze stampa e delle luci televisive. E poi c’è Fabio Napoleone: riservato, sì, ma tutt’altro che invisibile. Silenzioso nel modo, ma potente negli atti. Se oggi il caso Garlasco è tornato d’attualità – con tutte le implicazioni che ciò comporta – è perché dietro quella decisione c’è la firma di un uomo che non muove un passo senza una ragione solida.
Chi lo conosce bene lo descrive come un investigatore infallibile, capace di scavare dove altri non osano più guardare. Napoleone non cerca visibilità, cerca verità. E se ha deciso di riaprire un caso che per anni è stato sotto la lente pubblica e giuridica, significa che nuovi elementi sono emersi. Elementi che, probabilmente, potrebbero cambiare le carte in tavola.
Nato a Bari, entra in magistratura giovanissimo, a soli 24 anni. Dal 1981 al 1987 è giudice al tribunale di Milano, dove si fa le ossa con inchieste di peso. Si occupa del traffico internazionale di stupefacenti e finisce nel cuore dello scandalo petroli: una delle frodi fiscali più clamorose nella storia giudiziaria italiana, legata al contrabbando di oli minerali.
L’uomo delle indagini scomode
Ma è con il trasferimento alla Procura di Milano, nel 1988, che la carriera di Napoleone prende una piega decisiva. In quel contesto entra nella Direzione Distrettuale Antimafia e si trova fianco a fianco con figure come Ilda Boccassini. Insieme portano alla luce la famigerata Duomo Connection, una rete di infiltrazioni mafiose nel Nord Italia che si allungava fino dentro la pubblica amministrazione. Non un’indagine qualsiasi, ma una delle prime e più importanti azioni contro la mafia al di sopra del Po.
Napoleone, però, non si ferma lì. Affonda le mani nei dossier più scomodi: indaga sulla banda neofascista di Cavallini, scopre un sistema illecito di permessi di soggiorno legati a funzionari corrotti della questura, e diventa uno dei protagonisti della lotta contro la corruzione negli enti locali milanesi, proprio mentre esplode il ciclone “Mani Pulite”.
Negli anni Novanta, è uno dei pilastri del pool che combatte gli affari loschi nei comuni dell’hinterland milanese. Le sue inchieste scavano nei meccanismi opachi dell’urbanistica, degli appalti, della gestione delle case popolari e persino del traffico di rifiuti. Ogni volta che Napoleone apre un’indagine, è come se accendesse una torcia nel buio.
Nel 2000 arriva l’inchiesta Telecom-Sismi: un vero thriller giudiziario. Si parte da agenzie private che corrompono funzionari per ottenere dati sensibili, si finisce dentro una rete di spionaggio industriale con al centro la security di Telecom Pirelli e il manager Giuliano Tavaroli, che finirà in manette nel 2006. Anche questa volta, Napoleone è in prima linea.
Nel 2008 diventa procuratore della Repubblica a Sondrio, ma il suo ruolo più importante arriva nel 2021, quando viene scelto dal CSM per guidare la Procura di Pavia. Ed è proprio da lì che decide di riaprire il caso Garlasco, una scelta che non può passare inosservata.
Opinione: un uomo, una visione, una giustizia che non dorme mai
Fabio Napoleone non è il tipo che si lascia trascinare dalla pressione mediatica. Le sue decisioni non sono frutto di sensazionalismo, ma di metodo e rigore. È un magistrato che ha fatto della discrezione la sua arma più potente. La riapertura del caso Garlasco non è solo una notizia, è un segnale: la giustizia, anche quando sembra aver chiuso una porta, può sempre trovare un’altra chiave.
Ed è proprio questo il punto. In un’epoca in cui i riflettori spesso brillano più della verità, la figura di Napoleone ci ricorda che c’è ancora chi lavora nell’ombra per riportare luce. E voi, cosa ne pensate della riapertura del caso Garlasco? È giusto rimettere tutto in discussione dopo tanti anni? Diteci la vostra nei commenti qui sotto.
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