Una parabola sorprendente: dalla terza carica dello Stato a un lavoro da mille euro al mese. I retroscena di un crollo tra processi, mascherine e Ferrari.
C’è stato un tempo in cui Irene Pivetti rappresentava il volto giovane e istituzionale della politica italiana. Era il 1994 e, a soli 31 anni, veniva eletta presidente della Camera dei Deputati, diventando la più giovane a ricoprire una delle massime cariche dello Stato. Entrata in politica tra le fila della Lega Lombarda, nel pieno fermento degli anni Novanta, cavalcava l’onda della nuova politica di Umberto Bossi e si affermava come simbolo di un cambiamento epocale.
Ma il vento della gloria, si sa, può cambiare direzione all’improvviso. Dopo l’uscita dalla Lega nel 1996 e una serie di tentativi di rilancio politico andati a vuoto, la figura di Pivetti è lentamente scivolata nell’ombra. Dal 2001 in poi, nessun incarico di rilievo, solo consulenze e progetti sparsi, fino a quando il suo nome è tornato alla ribalta. Non per meriti istituzionali, ma per inchieste giudiziarie che l’hanno trascinata nel fango.
Mascherine false, Ferrari fantasma e milioni scomparsi
Nel pieno dell’emergenza sanitaria del 2020, l’ex presidente è finita al centro di un’indagine clamorosa: avrebbe importato mascherine cinesi per un valore di 35 milioni di euro, risultate poi contraffatte e non idonee alla protezione. Il marchio CE sarebbe stato falso, i materiali non conformi, e il prezzo di vendita gonfiato rispetto a quanto pattuito. Da lì, l’avvio di una serie di indagini che avrebbero scoperchiato un vaso ben più profondo.
Poco tempo dopo, un secondo caso scuote l’opinione pubblica: l’operazione sospetta di vendita di tre Ferrari Granturismo a una società cinese, un affare da 10 milioni di euro che secondo gli inquirenti non sarebbe mai avvenuto realmente. I veicoli sarebbero rimasti in Italia, mai trasferiti, mentre la transazione avrebbe avuto come unico scopo quello di eludere il fisco. Il risultato? Una condanna in primo grado a quattro anni per evasione fiscale e autoriciclaggio, oltre al sequestro di beni per oltre 3 milioni e mezzo di euro.
A oggi, i processi restano aperti, le accuse gravi e il futuro giudiziario ancora tutto da scrivere.
Una vita azzerata: tra rigattieri, mensa sociale e nuovi inizi
Mentre le aule di tribunale continuano a riempirsi del suo nome, la vita di Irene Pivetti è cambiata radicalmente. Non ci sono più gli abiti sartoriali, le auto blu e i titoli da prima pagina. Oggi, il suo presente parla di un modesto impiego presso una cooperativa che gestisce un ristorante sociale a Monza. Mille euro al mese, nessun incarico di prestigio e una quotidianità ben lontana dai fasti del passato.
Negli anni peggiori, avrebbe perfino svuotato casa per sopravvivere, vendendo oggetti personali ai rigattieri. I regali ricevuti in occasione del matrimonio? Finiti anch’essi nel mucchio. Le richieste d’aiuto alla Caritas non sono state un’eccezione. Il nome che un tempo apriva porte oggi crea imbarazzi. Nessuna azienda la voleva più come consulente, nessuno spazio per ricominciare se non partendo dal fondo.
Eppure, in questo presente spoglio di privilegi, ha trovato una forma di serenità: progetti culturali, rapporti internazionali e una nuova consapevolezza. Una donna che nonostante tutto, prova a restare in piedi.
Ma può davvero esserci riscatto dopo una caduta così brutale? La storia di Irene Pivetti divide e fa discutere. Tu da che parte stai? Faccelo sapere nei commenti.