Cirino Pomicino è al centro di un acceso dibattito pubblico sul sistema pensionistico riservato agli ex parlamentari.
Paolo Cirino Pomicino, volto noto della Prima Repubblica ed ex ministro del Bilancio, torna sotto i riflettori. Ma questa volta non per decisioni politiche o interventi in aula, bensì per il suo assegno pensionistico. Ogni mese, Pomicino incassa una cifra che fa discutere e infiamma il dibattito sulle cosiddette “pensioni d’oro”.
Stando ai dati riportati da Il Fatto Quotidiano, l’ex parlamentare riceve circa 5573 euro netti mensili come vitalizio. Ma non finisce qui: si sommano altri 2600 euro netti al mese come pensione da medico, una cifra comprensiva anche del riscatto degli anni universitari. Totale? Più di 8000 euro al mese, netti.
Un assegno che, in tempi di tagli e sacrifici, solleva più di una perplessità.
Un sistema nato per tutelare o per premiare?
Il vitalizio parlamentare nasce negli anni Sessanta con l’idea – almeno sulla carta – di proteggere l’indipendenza economica dei rappresentanti del popolo. Un modo per evitare pressioni esterne e garantire una certa “dignità” alla funzione legislativa.
Pomicino ha più volte difeso questo meccanismo, sostenendo che non si tratti di un privilegio, bensì di una tutela per chi ha ricoperto incarichi istituzionali. Secondo lui, cancellare questi strumenti significherebbe colpire la stessa essenza della rappresentanza democratica.
Eppure, i critici non la pensano così. Anzi, sostengono che questi assegni siano del tutto scollegati dai contributi effettivamente versati, e che alimentino un sistema insostenibile per le finanze pubbliche.
Il Movimento 5 Stelle, tra i principali promotori della revisione dei vitalizi, ha portato avanti negli ultimi anni una vera e propria battaglia per tagliare queste pensioni extra-large. Luigi Di Maio, nel 2018, dichiarò che da luglio dello stesso anno Cirino Pomicino percepiva una pensione calcolata solo sui contributi versati e non più un vitalizio forfettario. Ma è davvero così?
Secondo alcune fonti, il taglio non sarebbe stato così netto come annunciato. Anzi, in alcuni casi, il passaggio al sistema contributivo avrebbe addirittura avvantaggiato alcuni ex parlamentari grazie ai meccanismi di “valorizzazione” dei contributi figurativi.
Oggi, il caso Pomicino è diventato un simbolo. Non solo di un passato politico ormai lontano, ma anche di un sistema pensionistico che fatica a stare al passo con i tempi. Le cifre percepite, pur essendo perfettamente legali, sollevano interrogativi etici e sociali: è giusto che, in un Paese dove milioni di persone vivono con pensioni minime, ci siano ex politici che incassano oltre 8000 euro al mese?
La domanda è tutt’altro che semplice. Da un lato c’è il rispetto per i diritti acquisiti, dall’altro l’esigenza di equità e sostenibilità. Una questione che va ben oltre il singolo nome, ma che tocca il cuore stesso della giustizia sociale.
Cosa ne pensi delle pensioni d’oro come quella di Cirino Pomicino? Scrivilo nei commenti qui sotto: la tua opinione conta!