Caso Alessia Pifferi: Merita Davvero L’Ergastolo?

Il caso della madre accusata della morte della figlia Diana si arricchisce di una nuova, inquietante conferma: era pienamente cosciente di ciò che faceva.

Era cosciente,  lucida, consapevole. Alessia Pifferi non era in preda a una crisi, né affetta da un disturbo mentale invalidante. Lo afferma con forza l’ultima perizia psichiatrica richiesta durante il processo d’Appello: quella donna che ha chiuso la porta di casa lasciando sola la sua bambina di 18 mesi, non era incapace di intendere e di volere.

Diana è morta di stenti, chiusa in una casa deserta, mentre sua madre si dedicava alla propria vita. Non è un errore, non è una distrazione, non è una tragedia nata dall’inadeguatezza. È un delitto. E ora, con due perizie concordi, il punto è chiaro: Alessia Pifferi sapeva esattamente cosa stava facendo.

L’avvocato Laura Sgrò, intervistata da MOW, spiega come si è arrivati a questo risultato. I giudici della Corte d’Assise d’Appello hanno accolto la richiesta della difesa di disporre una nuova perizia, cercando di chiarire se la donna potesse soffrire di patologie mentali tali da compromettere il giudizio. Ma il verdetto degli esperti è stato netto: nessun disturbo mentale grave, nessuna alterazione clinicamente significativa che giustifichi o attenui il gesto.

Nessuna scusante: due processi, una sola verità

La condanna in primo grado era già stata pesantissima: ergastolo per omicidio volontario aggravato. Le aggravanti? L’aver agito per futili motivi. E il fatto che la vittima fosse sua figlia. Diana, lasciata sola due volte prima di quella fatale settimana di luglio 2022, era sopravvissuta. Ma non il 14 luglio.

La difesa continua a insistere su una presunta “lentezza cognitiva”, invocando la fragilità mentale della donna e chiedendo una riqualificazione del reato: non omicidio, ma abbandono. Ma le perizie non danno adito a dubbi. I periti confermano che la Pifferi non solo era in grado di intendere e di volere, ma era consapevole delle conseguenze delle sue azioni.

La sua mente non era quella di una bambina, come qualcuno ha voluto far credere. Aveva disturbi del neurosviluppo, sì, ma non tali da compromettere la sua capacità di comprendere la realtà o prevedere la morte della figlia come conseguenza diretta del suo abbandono.

Il quadro è crudo, ma necessario. Non si può nascondere dietro una patologia ciò che è stato un gesto deliberato, tragicamente consapevole. Diana non è stata dimenticata. È stata lasciata. Così come è stata ignorata ogni sua richiesta d’aiuto, ogni pianto, ogni respiro divenuto sempre più flebile.

Alla luce di tutto questo, come si può ancora invocare la pietà della giustizia? Il lavoro della difesa ora appare in salita, quasi impossibile. Due perizie in due gradi di giudizio confermano la responsabilità piena della madre. E se la verità è che Alessia Pifferi ha messo davanti a tutto i propri desideri, ignorando completamente la vita della figlia, allora l’ergastolo diventa non solo una punizione, ma un segnale forte per tutti.

La giustizia ha fatto il suo corso. Resta solo una domanda: come si può spiegare, accettare, perdonare l’idea che una madre scelga volontariamente l’assenza, sapendo che quella scelta porterà alla morte della propria figlia?

E tu, cosa pensi di questa vicenda? La giustizia ha fatto il suo dovere o rimane qualcosa di irrisolto? Scrivilo nei commenti qui sotto.

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