Martina Ciontoli, condannata per la morte di Marco Vannini, ottiene il permesso di lavorare fuori dal carcere. Il suo reinserimento riapre ferite e polemiche.
Martina Ciontoli torna alla vita fuori dal carcere: tra reinserimento e ombre mai dissipate
A quasi dieci anni dalla tragica notte in cui perse la vita Marco Vannini, la figura di Martina Ciontoli torna a far parlare di sé. Oggi, prossima ai trent’anni, la giovane è uscita dal carcere di Rebibbia grazie a un permesso di lavoro. Condannata a 9 anni e 4 mesi per concorso in omicidio, dopo aver scontato oltre un terzo della pena, è stata autorizzata a lavorare all’esterno. Una decisione che divide l’opinione pubblica, soprattutto alla luce del clamore mediatico e giudiziario che il caso continua a suscitare.
Martina è ora impiegata presso il bar della Scuola Superiore per l’Educazione Penale “Piersanti Mattarella”, struttura legata al Ministero della Giustizia. Durante la detenzione ha conseguito con il massimo dei voti una laurea in Scienze Infermieristiche, comportamento che le ha fatto guadagnare la nomea di “detenuta modello”. Ma dietro la riabilitazione carceraria resta ancora aperta una ferita profonda.
Un passato che non si cancella
La vicenda che ha portato Martina Ciontoli in carcere è tra le più controverse degli ultimi anni. Nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2015, Marco Vannini, 20 anni, viene colpito da un proiettile mentre si trova nella vasca da bagno nella villetta dei Ciontoli a Ladispoli. L’autore materiale dello sparo è Antonio Ciontoli, padre di Martina, sottufficiale della Marina Militare. Secondo le indagini, l’uomo stava maneggiando due pistole da riporre quando, per gioco, ne mostra una a Marco, credendola scarica. Pochi secondi e un colpo parte: il proiettile trapassa il corpo del ragazzo, causando un’emorragia interna devastante.
La tragedia si consuma lentamente. I soccorsi vengono chiamati con enorme ritardo. Nella prima telefonata al 118, il fratello di Martina parla di un attacco di panico. Poco dopo interviene la madre, che minimizza e annulla l’intervento dell’ambulanza. Solo nella seconda chiamata, Antonio Ciontoli riferisce un’improbabile ferita causata da un pettine. In sottofondo, però, si sentono le urla lancinanti del ragazzo. Quando finalmente si dice la verità – che Marco è stato colpito da un proiettile – è ormai troppo tardi: l’emorragia ha avuto il sopravvento.
Giustizia tra sentenze altalenanti e amarezze familiari
Il caso giudiziario è stato lungo e tortuoso. Dopo numerosi processi, cambi di versione da parte dei membri della famiglia Ciontoli e decisioni contrastanti, la Corte di Cassazione ha stabilito che si trattò di concorso pieno in omicidio, non di un semplice concorso anomalo. La prima sentenza inflisse 14 anni ad Antonio Ciontoli per omicidio volontario e 3 anni agli altri familiari per omicidio colposo. Una seconda sentenza ridusse la pena e riformulò l’accusa, ma la reazione pubblica e della famiglia Vannini fu veemente. Alla fine, nel processo d’appello bis, si tornò a pene più severe: 14 anni per Ciontoli e 9 anni e 4 mesi per Martina, la madre Maria Pezzillo e il fratello Federico.
Marina Vannini, madre di Marco, ha accolto la notizia della scarcerazione parziale di Martina con una freddezza carica di dolore. Ha affermato di non essere sorpresa, ma ha auspicato che, con il tempo e la coscienza recuperata, Martina possa finalmente raccontare tutta la verità su quella tragica notte.
Le incongruenze nelle dichiarazioni e i tentativi di coprire l’accaduto sono stati determinanti per la condanna. Più volte, le versioni sono cambiate, contraddette dai filmati e dalle ricostruzioni. Martina, in particolare, ha fornito dichiarazioni diverse nel tempo, inizialmente negando di trovarsi nel bagno al momento dello sparo, per poi rilasciare, nelle registrazioni della sala d’attesa, una descrizione precisa dei fatti.
La pena può ripagare un silenzio?
La vicenda solleva interrogativi profondi sul senso della giustizia e sul valore del pentimento. Se da un lato il carcere è anche rieducazione e reinserimento sociale, dall’altro resta il bisogno, umano e morale, di verità piena e trasparente. Martina Ciontoli oggi torna lentamente alla vita civile, ma il dolore della famiglia Vannini resta vivo, insieme alla richiesta mai soddisfatta di chiarezza totale.
Cosa significa davvero giustizia, quando il silenzio e le bugie hanno contribuito alla morte di un ragazzo di soli vent’anni? La redenzione può esistere senza verità?